La pausa che segue l’epiclesi è il momento più silenzioso e carico di energia che io ricordi, il culmine della liturgia eucaristica, la transustanziazione, il senso profondo dell’eucarestia. Non frequento da tempo una chiesa, ma questa sensazione provata dal fanciullo che fui deve essermi rimasta dentro, se l’ho subito riconosciuta in un’occasione rara e fortunata, quando abbiamo sentito il degustatore annunciare il vino a sorpresa: «Rivesaltes Château Mossé 1932, l’anno di nascita di mio padre, che purtroppo non c’è più». Sono seguiti tre secondi di religioso silenzio. Poi la parola è passata al vino.
Château Mossé è un’azienda occitana della Languedoc-Roussillon, una zona altamente vocata per la produzione dei Vins Doux Naturels (VDN), ottenuti mediante mutage, ovvero aggiungendo al mosto in fermentazione alcol al 90% da distillato di vino, che inibisce l’azione fermentativa dei lieviti e permette di conservare gli zuccheri dell’uva. La successiva maturazione in botti scolme, oppure in damigiane tenute all’aperto, ha come obiettivo l’ottenimento del gusto ossidato noto come goût de rancio. Il titolo alcolometrico del prodotto finito non è mai inferiore al 15%.
Il Rivesaltes 1932 – prodotto con il 70% di Grenache e il 30% di Macabeu – ha sostato in piccole botti di legno, con un’ossidazione più controllata rispetto a quella in damigiana. I numerosi decenni hanno reso possibile l’esterificazione degli acidi grassi e l’integrazione completa dell’alcol aggiunto, che, in termini gustativi, si traduce anche nell’assenza di percezione alcolica.
Questo Vin Doux Naturel quasi novantenne si presenta di un bel colore ambrato, che farebbe pensare a uve bianche, anche se a un occhio esperto non sfuggirebbe che quei riflessi ramati sono invece una spia di uve a bacca rossa. Ma il colore e la consistenza del vino non devono svelare segreti, devono catturare l’attenzione, incuriosire e creare aspettative, e in questo caso ci riescono molto bene.
Al naso, gli aromi liberano la fantasia di un bambino cresciuto che è riuscito a catalizzare gli anni vissuti in un’infinità di percezioni aromatiche. Si va dalla bancarella della fiera di paese – con i brigidini, il croccante ai pinoli, le mandorle tostate, il caramello – fino al pranzo di una volta con i parenti, quando alla fine si apriva il mobile dei liquori per gli ospiti importanti e si tiravano fuori vecchi Cognac, sigari, cioccolato fondente, marrons glacés, anisetta e ciliegie sotto spirito. A completare l’ordito del corredo aromatico ecco poi il miele di castagno, i frutti a bacca rossa, le essenze di legni nobili e una nota ossidativa, importante ma mai invadente.
In bocca dilaga senza essere pesante, sostando su tutta la cavità orale senza soluzione di continuità, tenace anche dopo diverse deglutizioni. Questa forte presenza è il tratto che più mi ha impressionato, insieme alla mancata percezione dell’alcol, in una felice combinazione che unisce persistenza aromatica e invito al sorso successivo. Gli aromi di bocca esaltano le caratteristiche del frutto che fu e il finale ci regala un’ossidazione elegante e matura, che vale la pena attendere per godersi tutti i titoli di coda, dove si ritrova una buona parte del ricco corredo aromatico.
La scelta del vino, la ricerca di questa bottiglia e la condivisione di un ricordo intimo e privato sono state un rito che ha portato a una comunione di intenti di un gruppo di persone che, insieme a me, rendono grazie.