In una terra dove le uve bianche sono assolute protagoniste, lo Schioppettino vorrebbe imporsi come vitigno autoctono a bacca rossa capace di competere con i grandi vini bianchi regionali. Siamo in Friuli Venezia Giulia, terra di confine abbracciata dal mare e dalle Alpi, regione che è un intreccio di storie e luogo ideale per appassionati di storia ed enogastronomia.
Lo Schioppettino è stato per anni dimenticato, a favore di uve internazionali di più facile gestione e più remunerative. Oggi è anche grazie alla famiglia Rapuzzi dell’azienda Ronchi di Cialla se possiamo degustarlo ancora. Infatti proprio Dina e Paolo Rapuzzi furono così visionari da voler produrre solamente vitigni autoctoni friuliani come Verduzzo, Picolit, Ribolla Gialla e Refosco. Alla lista mancava ancora lo Schioppettino, che in seguito alla fillossera e poi alle due guerre mondiali fu completamente abbandonato.
Come riuscirono a recuperarlo? Grazie alla memoria storica degli anziani del paese e alla descrizione contenuta nell’ampelografia di Guido Poggi. I Rapuzzi riuscirono a trovare dieci piantine superstiti, iniziando poi il processo di riproduzione delle barbatelle, che in due anni diventarono circa 3.600 nuove piantine. Ma qui si presentò un problema, quando scoprirono di aver piantato le viti illegalmente, perché lo Schioppettino non era presente in alcun disciplinare e non figurava neppure nel Registro dei vitigni autorizzati ad essere coltivati nella Regione.
Le figure di Luigi Veronelli e della famiglia Nonino furono fondamentali per poter regolamentare la posizione dello Schioppettino. Nel 1975 – allo scopo di farlo ufficialmente riconoscere dagli organi nazionali e comunitari – i Nonino diedero vita al premio Risit d’Aur (Barbatella d’Oro) dedicato alla civiltà contadina, da assegnare annualmente al vignaiolo che avesse posto a dimora il miglior impianto di vitigni autoctoni. Il primo premio Nonino Risit d’Aur andò proprio a Dina e Paolo Rapuzzi dell’azienda Ronchi di Cialla per «aver dato impulso alla coltivazione, nel suo habitat più vocato in Cialla di Prepotto, dell’antico prestigioso vitigno autoctono Schioppettino, di cui assurde leggi hanno decretato l’estinzione». I premi vennero consegnati in una situazione surreale, alla presenza di giornalisti e politici che da una parte doveva premiare e dall’altra avrebbero dovuto sanzionare la coltivazione illegale. Finalmente, nel 1977 il Consiglio Comunale di Prepotto deliberò all’unanimità la richiesta che lo Schioppettino venisse inserito almeno nell’elenco dei vitigni autorizzati dalla regione, cosa che avvenne ufficialmente nel 1981: iniziò così la rinascita di questo vitigno, ormai un simbolo del Friuli Venezia Giulia e che negli anni ha saputo imporsi come distintivo delle zone di Prepotto e Cialla.
Oggi vi presento la versione più fresca e giovane dello Schioppettino di Ronchi di Cialla, il Venezia Giulia IGT RiNera 2018: le uve provengono da vigne della Valle di Cialla esposte a sud e sud-ovest, a 150-200 metri; l’affinamento è solamente in acciaio e il titolo alcolometrico è contenuto al 12,5%. Pur essendo lo Schioppettino base dell’azienda, è anche il più didattico, perché incarna tutte le caratteristiche tipiche di questo vitigno.
Nel calice ha un colore scarico, trasparente, tra il rubino e il granato. Al naso ha un profumo elegante di piccola frutta rossa e spezie: ribes, frutti di bosco e pepe verde. Al palato, inoltre, è fresco e lascia una sensazione di secchezza che subito richiama un altro sorso. La sensazione olfattiva e gustativa che rimane è di succo di frutta a polpa rossa. Se queste sono le caratteristiche del vino più giovane e fresco, non c’è che da aspettarsi il meglio dalle versioni più evoute e dalla Riserva.
Auguro a tutti di poter conoscere questa meravigliosa famiglia e gli eccezionali vini da loro prodotti, frutto di vera passione e amore per il territorio.