Un vino camaleontico e multiforme, una sorta di Fregoli, capace oltretutto di teletrasportarti in altri mondi e di provocarti impressionanti visioni oniriche. No, non sono sotto gli effetti di sostanze allucinogene, sono solo ancora un po’ stordito dall’incontro con questo splendido rappresentante del Pinot Nero, un’uva che nella Côte de Nuits riesce a modellarsi al suo terroir complesso e variegato, mettendo da parte la propria essenza e assorbendo, in maniera tridimensionale, tutto quello che lo circonda e che riesce ad estrarre da quel sottosuolo benedetto. Un territorio che oltre 170 di milioni fa era un fondale marino, cui fanno da sostegno le colline del Morvan, che ne inclinano la giacitura verso la pianura della Saona, con i suoi suoli profondi e grassi off-limits per i vigneti. Lungo le curve di livello a mezza costa sono distribuiti i Grand Cru della Côte-de-Nuits e il Clos de Bèze ne rappresenta una delle perle. Il vigneto, di forma rettangolare, si trova tra i 270 e i 300 metri, con esposizione a est, ventilazione ottimale e protezione dalle grandinate svolta dalla collina sovrastante. Il terreno è costituito da un calcare a crinoidi (fossili di gigli e stelle di mare), argille e marne, un vero paradiso per il Pinot Nero. Questo clos è veramente uno scrigno chiuso e, dato che risale al 640, lo possiamo considerare la vigna più antica al mondo che abbia mantenuto fino ad oggi i suoi confini. Frédéric Magnien dà alla luce vini sontuosi, in stretto regime di coltivazione biodinamica dal 2010, accompagnando il suo Pinot Nero nel viaggio di trasformazione da uva a vino senza ingerenze, lasciando soltanto al vitigno il compito di fondersi con il terroir e di portarne alla luce tutte le sue sfumature. Lo spirito che guida Frédéric è racchiuso nelle sue parole «Qui la natura regna, e il vigneron l’accompagna; noi beviamo l’espressione della loro armonia».
Questo Chambertin-Clos de Bèze Grand Cru 2012 appare di un rosso rubino scintillante. Chiuso e restìo al naso, quasi scontroso nella sua voglia di donarsi, si degna di permettere a cassis, mora, note balsamiche e speziate scure di fare capolino soltanto dopo una leggera rotazione del bicchiere. All’assaggio, eccola, improvvisa, la capacità del Pinot Nero di teletrasportarci: un tannino imperativo, del tutto inaspettato, ci sorprende, portandoci appunto in altre zone, in compagnia di altri vini. Al primo sorso ci sembra di sentir entrare in bocca materia pura, incapace di aprire lo scrigno delle sensazioni racchiuse al suo interno, con le papille asciugate da questo tannino atipico. Poi, finalmente, ecco una splendida sapidità fruttata, che ci accompagna a lungo e ci fa dire «Au revoir» al prossimo incontro e al prossimo viaggio, sempre diversi, grazie a un vino capace di trasportarci su altri binari e proporci sempre nuove sensazioni.