C’era una volta una vigna francese, che un giorno si innamorò di un italien, chiamato là per occuparsi proprio della salute di alcune vigne: voleva essere curata da lui e poter dare anche a lui i frutti delle sue vendemmie.

E c’era una volta (quella stessa volta) un italiano che – innamorato di quella vigna – decise di provare a chiedere la sua mano. Ma quella vigna si trovava a Le-Mesnil-sur-Oger, in Champagne, per cui l’italien si ritrovò catapultato in una titanica mission impossible e si scatenarono tempestose guerre stellari – a colpi di quel preziosissimo gesso locale, consumato sulle lavagne della burocrazia – con protagonisti i due innamorati, un proprietario disponibile e il proverbiale nazionalismo transalpino.

Mi sono fatta prendere dalla voglia di iniziare questa storia come una favola, e l’ho fatto perché lo sembra davvero, a cominciare dalla location – la Côte de Blancs – che è perfetta (per me, Champagne = Chardonnay). Inoltre, oggi Enrico Baldinl’italien – è lì, a produrre bottiglie con i frutti di quella vigna. Un miracolo dell’acqua benedetta di Reims? A me piace pensare che tutto questo non sia dovuto a miracoli, ma alle capacità umane di Enrico e di altre persone che ha avuto dalla sua parte in questo percorso. Enrico ce l’ha fatta, dopo lunghe anticamere, aspri contrasti e complicati cavilli da interpretare, smontare o aggirare. Ce l’ha fatta e può finalmente renderci partecipi della sua storia, che vediamo diventare sempre più pericolosa per noi che lo ascoltiamo: perché, via via che la narrazione procede, ci lasciamo coinvolgere e sentiamo maturare, inconsciamente, aspettative sempre più alte. Così, quando nel racconto interviene Nadia Nicoli, la sua compagna di viaggio (tra le viti e nella vita) e vera deus ex machina di tutta la storia, siamo ormai convinti che – con una storia così, che sa di buono, di positivo, di favola, appunto – gli Champagne Encry debbano essere quantomeno miracolosi. Assaggiamoli allora, finalmente, tralasciando il racconto dei particolari tecnici e burocratici sulla nascita del marchio (nato con un gioco di lettere creato da Nadia e mostrato qui sotto), che ha iniziato a etichettare bottiglie dal 2004.

1 – Lo scacciapensieri – Grand Cru Blanc de Blancs Grande Cuvée Brut

100% Chardonnay – Vigne dai 40 ai 90 anni – Residuo 4,5 g/l – Base vendemmia 2012, con 20% vini di riserva – Fermentazione in acciaio – 42 mesi sui lieviti. Le uve di Chardonnay – che fino alla fine del secolo scorso confluivano nelle cantine adiacenti (non farò nomi, ma due grandi maison) – vengono coltivate con sofisticati sistemi poco invasivi (idrosemina, altri accorgimenti naturali e niente zappature: quisquilie, per un ingegnere ambientale come Enrico) e alte rese. Luminosissimo, al naso tarda a farsi apprezzare, rendendoci un po’ impazienti e costringendoci ad accelerare il passaggio in bocca, dove il sorso è acidulo e ‘beverino’, prima di aprirsi in profumate note agrumate e di grande sapidità, per continuare dinamico e piacevole, a lungo, con un misurato supporto strutturale dei vini di riserva e senza alcun accenno al dosaggio.

2 – Lo strepitoso – Grand Cru Blanc de Blancs Nature Dosage Zéro

100% Chardonnay – Vigne dai 40 ai 90 anni – Base vendemmia 2012, con 15% vini di riserva – Fermentazione in acciaio – 42 mesi sui lieviti. Al naso è invitante, con eleganti note di agrumi e di panetteria ben integrati. In bocca è fresco, tagliente, con sapidità e freschezza che si rincorrono e finiscono in un agrumeto, in cui i toni sono più evoluti, per alcuni istanti anche rotondi, per poi riprendere la loro rincorsa, fermata soltanto (e rinnovata) dal sorso successivo, come una benedizione. Per un attimo, in perfetta sincronia e senza dire niente, ci siamo ritrovati a guardarci negli occhi gli uni con gli altri, quasi increduli, per cercare (e trovare) conferme delle nostre sensazioni.

3 – L’inaspettato – Grand Cru Grand Rosé Brut

95% Chardonnay, 5% Pinot Nero (vino in assemblaggio) – Vigne dai 40 ai 90 anni – Residuo 3 g/l – Fermentazione in acciaio – 36 mesi sui lieviti. È un vino nato su richiesta del mercato (in Champagne lo producono obtorto collo) ed è stato studiato, seguito e perfezionato da Nadia, secondo il suo gusto personale. Il risultato è un rosé non rosé di squisita eleganza (sfidiamo chiunque a dire che è un rosé, ad occhi chiusi), anche per chi non ama il genere. Al naso la percezione del Pinot Nero è chiara, ma in bocca il sorso taglia, cuce e ricuce come un blanc de blancs, minerale e fresco, ricco e piacevole, con chiusura di nuovo minerale, di grande pulizia.

4 – Lo storico – Grand Cru Blanc de Blancs Grande Cuvée Millésime 2009 Brut

100% Chardonnay – Vigne 80% vecchie e 20% più giovani – Residuo 7 g/l – Fermentazione in acciaio – 72 mesi sui lieviti. Decisione sofferta, quella di produrre il millesimato 2009 (nel 2010 e nel 2011 non è stato prodotto), dopo molti esperimenti e discussioni. Per fortuna si è poi deciso di produrlo, con l’accortezza di ricorrere a un dosaggio insolito (7 g/l) per controbattere l’acidità ricca e sferzante di uve perfette. Al naso si sente il lungo e impeccabile lavoro dei lieviti, unito a una certa vinosità. In bocca l’ingresso è morbido e di forno, ma poi si scatena la freschezza, che si fa gioco del dosaggio e costruisce una piacevole, dinamica e profonda armonia. Da notare che per questa etichetta (e solo per questa) viene usato un tappo Diam di agglomerato, a garanzia di qualunque problema di contaminazione.

In conclusione – anche se non voglio tornare a parlare di miracoli – usciamo tutti dalla degustazione con l’impressione di aver aperto una porta su un piccolo paradiso terrestre o, più banalmente, su un nuovo e più alto standard qualitativo con cui confrontare gli assaggi futuri. Per riportarci sulla terra, Enrico e Nadia ci propongono allora di degustare i prodotti di fascia più bassa che la società V.ve Blanche Estelle, titolare del marchio Encry, produce con uve acquisite e vende col proprio nome. Ma ne parleremo un’altra volta, quando ci occuperemo di cose più terrene.