Riparbella è a 15 km dal Tirreno, in Val di Cecina, un territorio poco antropizzato e un paesaggio naturale che ha ancora spazio per la viticoltura, specialmente se votata a una conduzione sostenibile e responsabile. I suoli sabbiosi, ricchi di sassi drenanti, ne fanno un territorio ad alto potenziale enologico, contrassegnato dal colore bianco: il nome Riparbella deriva infatti da Ripa Albella (Ripa Bianca), per i suoi suoli tufacei, chiari e a sprazzi candidi, che hanno battezzato anche questa giovane e ambiziosa realtà vitivinicola, Colline Albelle. 

Nata nel 2018 e oggi in produzione con 10 ettari coltivati a Sangiovese, Ciliegiolo, Merlot, Vermentino, Canaiolo Bianco e Petit Manseng, l’azienda nasce quindi con una chiara identità toscana, con un paio di concessioni alla nazionalità del winemaker, Julian Reneaud, che però tiene a dire che si considera orgogliosamente toscano di adozione.

Il progetto delle proprietarie – due lungimiranti signore bulgare, Dilyana Vasileva e Irena Gergova, colpite come i loro mariti da una sorta di sindrome di Stendhal durante un viaggio in Toscana nel 2016 – è molto ambizioso e si propone di produrre vini nuovi e accurati, autentici ed emozionanti. Julian – conosciuto durante quello stesso viaggio – non ama la potenza e l’alcolicità, ma la freschezza, la verticalità e la bevibilità elegante, traguardi da raggiungere attraverso una viticoltura sostenibile, biologica e biodinamica. Questi suoli ben drenati, sabbiosi, con poco contenuto di argilla o ghiaia e ad alto contenuto di calcare, godono anche dell’energia di profonde e vivaci acque sotterranee che attraversano la proprietà come un torrente invisibile: tutti fattori che «ritardano naturalmente la maturazione e aiutano l’uva a sviluppare una corretta acidità, condizione necessaria per raggiungere l’eleganza» dice Julian, aggiungendo che è una storia in fieri, appena cominciata, ma si pone come obiettivo una nuova eccellenza toscana proprio qui, nel borgo medievale di Riparbella, scelto come perno di questo nuovo microcosmo toscano, attualmente fuori (ma ancora per poco, nelle intenzioni dei proprietari) dalle rotte più importanti del turismo enogastronomico. 

La convinzione di Julian si fonda anche sulla considerazione che la costa toscana e il suo entroterra, pur se frazionati in diverse sottozone, sono comunque un unico lunghissimo vigneto che ha dato risultati eccellenti e ha contribuito con etichette leggendarie ad arricchire il gotha mondiale del vino: quindi, dice, perché non arricchire questa catena di vigne con un nuovo anello? Dilyana e Irena – donne coraggiose e visionarie, produttrici di vino anche nella valle dello Struma e sulla costa del Mar Nero, in Bulgaria – sono d’accordo: «La bellezza è la nostra stella polare» dice Dilyana, parlando a nome di tutti i soci, mentre Julian chiosa così, tracciando la strada futura: «Qui la natura ci serve i grappoli su un piatto d’argento: in queste condizioni la viticoltura biologica e biodinamica dovrebbe essere obbligatoria». 

Quella del 2020 è stata la prima vendemmia e ha trovato uve in ottima salute. I vini principali hanno matrice toscana e portano nomi e immagini di nuvole nelle etichette: Serto (Sangiovese), Altenubi (Ciliegiolo) e Halis (Canaiolo Bianco) saranno sugli scaffali non prima del prossimo anno, come il Nebe (un passito da uve Petit Manseng), mentre i vini ‘nati giovani’ e già pronti per il cavatappi sono Inbianco (Vermentino) e Inrosso (Merlot), che abbiamo degustato a La Pineta di Zazzeri, a Marina di Bibbona.

Inbianco è un’espressione delicata del terroir, minerale e floreale. Il Vermentino viene raccolto appena maturo e questa tempestività consente una beva fresca e fragrante, limitando l’alcol al 10,5%. Le uve vengono vinificate in acciaio e una minima parte affina per pochi mesi in barrique. Qualcuno potrebbe scambiarlo per un vino nordico, perché lo stile ricorda quello di molti Riesling. Il colore è un paglierino tenue e al naso presenta aromi floreali e di feijoa, susina Mirabelle, erbe aromatiche fresche, salvia e agrumi. In bocca è sottile, vibrante, fresco, verticale e salino, con un bel finale di agrumi.

Inrosso vuole essere un Merlot particolare, dinamico, croccante e verticale. Questa prima vendemmia si presenta con un rubino impenetrabile con riflessi ancora purpurei. Il bouquet evoca more, frutti di bosco, amarene e lievi note erbacee, come la foglia di mirto, oltre ad altri sentori boschivi. In bocca è vellutato, con tannino integrato e finale tostato e di liquirizia, richiamando un’interpretazione del Merlot molto bordolese.

L’assaggio in anteprima del Serto 2020 rivela un giovanissimo Sangiovese color rubino con sfumature porpora che, al naso, si presenta con i tipici sentori di viole, amarene e ciliegie. In bocca entra gustoso, vinoso e fruttato, con il tannino ben posizionato e quasi integrato e con un bel finale balsamico e ancora floreale.

Benvenuta, Colline Albelle.