Siamo nel Lazio, una regione talvolta un po’ sottovalutata, a livello vitivinicolo. Sbagliando, aggiungerei, perché, nonostante una spinta comunicativa piuttosto limitata, la regione dispone di alcuni vitigni e di alcune aziende veramente degni di nota. Uno su tutti è il vitigno autoctono Cesanese del Piglio, che ha dato il primo vino DOCG laziale, nell’Agosto 2008.
La DOCG Cesanese del Piglio (o Piglio) prevede 3 tipologie di vino rosso (base, Superiore e Superiore Riserva), prodotte con uve coltivate su territorio collinare e montagnoso (dai 220 ai 980 metri), che si estende per circa 15.300 ettari sulle pendici dei Monti Ernici, nei territori comunali di Piglio e Serrone e in parte di quelli di Acuto, Anagni e Paliano.
La terra del Piglio vanta una storia millenaria, che parte dall’antica Roma, passa per il Medioevo e arriva ai giorni nostri, mostrando quanto sia sempre fondamentale la sinergia tra uomo e territorio e come, tramandando di padre in figlio le tradizioni viticole ed enologiche, si sia arrivati ad ottenere la qualità dei vini Cesanese del Piglio, riconosciuti nel 1973 con la DOC e nel 2008 con la prestigiosa DOCG.
Una delle aziende del Piglio che più mi hanno colpito è l’Azienda Vitivinicola Giovanni Terenzi, fondata negli anni ’50 e guidata ancora oggi da Giovanni, che – nonostante il consistente numero di anni passati in vigna, ora affiancato anche dai tre figli – appare sempre come un ragazzino, entusiasta del proprio lavoro e orgogliosissimo della sua terra e dei suoi frutti. Intento a strappare da ogni vite anche la più insignificante erbaccia, tiene a raccontarmi per filo e per segno come si prende cura dei suoi vigneti, affinché diano vita e qualità a quelli che poi saranno i suoi figli.
E fra i figli – si sa – c’è spesso un prediletto, e nella famiglia Terenzi non poteva essere che lui: il Cesanese del Piglio Superiore Riserva Vajoscuro 2016. Il Vajoscuro è un vino dal colore granato pieno, lievemente più tenue ai bordi del bicchiere: colore da vino adulto, maturo, accattivante, che ti invita da subito ad avvicinare il naso al bevante.
Il profumo è intenso: la viola, la prugna, la ciliegia matura (ma non macerata), poi il cacao amaro (quasi un cioccolatino all’amarena) e sul finale una lieve nota ematica e una speziatura scura, che ne confermano la complessità. In bocca entra diritto e sottile, delicato e avvolgente: la nota fruttata è più croccante che al naso, di amarena appena raccolta, quindi bacca di mirto, pepe rosa e un sentore erbaceo che rimanda al rosmarino, il tutto racchiuso in un’eleganza disarmante.
Ottimo, devo dire, nel mio abbinamento con uno scottadito di agnello speziato su purea di fave e pecorino, ma sono convinta che si presti bene anche ad essere sorseggiato come vino da meditazione.
Un vitigno notevole, un’azienda meritevole, un’esperienza consigliabile a tutti.