Ci sono dei vini che lasciano dei segni indelebili nella nostra memoria, un sommarsi di ricordi nitidi scaturiti da sensazioni organolettiche uniche e molto caratterizzanti. Uno di questi è certamente il San Leonardo dell’omonima Tenuta di Borghetto All’Adige, frutto dell’unione tra il terroir trentino e il blend francofono di Cabernet Sauvignon, Carmenère e Merlot. Nato nel 1982 e perfezionato nel 1985 dalle sapienti mani di Giacomo Tachis, è oggi una delle migliori risposte italiche al pluripremiato stile bordolese, da cui mutua la scelta dei vitigni e l’affinamento in legno piccolo. 

È un vino dallo stile chiaro, rigoroso e mai esagerato, capace di distillare al suo interno tutta la bellezza e la fascinosità dello splendido panorama dolomitico che lo circonda, con un proprio carattere ben definito, che gli permette di essere riconoscibile anche in una degustazione alla cieca… È proprio durante un recente blind tasting tra amici che ne ho saputo comprendere e delineare – con una rapidità non frequente – gli eleganti tratti che lo definiscono, scrutandone prima il colore – rubino scuro e impenetrabile nel centro, con una lieve bordatura granata, che mi rimandava immediatamente a vitigni bordolesi – e poi decifrandone la ricchezza olfattiva.
Al naso impattava con superba verticalità ed elegante complessità, creando una serie infinita di suggestioni che partivano dai tocchi balsamici di cappero e ginepro e continuavano con la succosità di un’amarena matura, per arricchirsi poi di timbri speziati e boisé, ricordandomi cioccolato fondente, torrefazione, noce moscata e legno di cedro. In bocca avvolgeva con polpa di frutta scura, pepe nero e salamoia – un mix reso dinamico da un tannino centrato e di ottima fattura – e si superava nell’interminabile finale, caratterizzato ancora da coerenti e persistenti note di torrefazione e cioccolato fondente, creando un movimento setoso che mi avvolgeva in un soffice ed elegante abbraccio. 

Un vino dall’animo ricco e signorile, capace di mutare continuamente, mantenendo solide basi aristocratiche e graziose che lo rendono sempre scattante, mostrando anche richiami di scorza d’agrume e arancia amara. Territoriale e allo stesso tempo internazionale, da molti è considerato il taglio bordolese più francese d’Italia, capace di ripetersi a ogni grande vendemmia su un eccellente standard qualitativo. Lo vorrei gustare in un terrazzino sul Lungarno fiorentino, durante una romantica cena tète-a-tète, per suggellare con grazia ed eleganza un momento di massima empatia tra due innamorati.