Entrare in Palazzo Gondi quando è già sera ti fa sentire come se stessi andando a spiare la cena di Cosimo III – o di un altro de’ Medici qualsiasi – dalla finestra di fronte a Palazzo Vecchio. Ma in questa occasione non c’è bisogno di aprire le finestre, perché i personaggi e il protagonista principale sono già tutti dentro Palazzo Gondi. Con Bernardo, Gerardo e Lapo Gondi, il protagonista principale è un vino che sta per confermarci quanto un terroir, almeno in questa benedetta Toscana, sappia soggiogare – affettuosamente, a fin di bene – qualunque vitigno, anche quelli più potenti e mascolini.
Il Cabernet Sauvignon di Tenuta Bossi, nel Chianti Rùfina, è una scommessa di Supertuscan giocata oltre 30 anni fa (era il 1985) che Bernardo Gondi ha stravinto, soprattutto se diamo ascolto alle bottiglie di Mazzaferrata che hanno raggiunto la maggiore età, ma anche a quelle più giovani, pur se in prospettiva. Impiantato nei 2,7 ettari del vigneto Pietraviva (galestro e argilla con sedimenti calcarei a 250 metri, esposizione a sud-est), il Cabernet Sauvignon è stato inizialmente proposto in blend con l’onnipresente Sangiovese, ma – dopo un breve lustro di assestamento – è rimasto da solo a dar vita a questo vino, che propone un fil rouge sorprendente per un’etichetta fuori dai canoni della toscanità tradizionale.
Vediamo dunque cosa ci raccontano queste 9 annate di Mazzaferrata Colli della Toscana Centrale IGT, fondendo le nostre sensazioni con quelle (incontestabili!) di Massimo Castellani, che guida la degustazione nello splendido salone rinascimentale di Palazzo Gondi, alla presenza di esperti e appassionati.
L’annata 1992, ricordata come discussa e controversa per il Sangiovese, ha invece poi trovato un giudice galantuomo (cioè il tempo) per il Cabernet. Le pratiche di cantina si sono ormai assestate: 24 mesi tra botti grandi e barriques (non nuove) e 24 mesi in bottiglia. La massa colorante è viva, al naso si sente il frutto, insieme al balsamico, con note di piccantezza e tostatura. Anche in bocca è vivo, pieno e dinamico, con un finale ‘sangiovesizzante’ (arancia amara e salinità, acquisita col tempo), e dà il meglio dopo la deglutizione, con un ricordo aromatico fruttoso, balsamico e sapido.
L’annata 1994, già di per sé interessante, ha riservato grandi sorprese, sia nell’immediato che col passare del tempo. Il colore è sorprendente, per un vino di 24 anni. Al naso si presentano prima le note tostate, poi prende il sopravvento la balsamicità, che copre anche alcune spinte erbacee. Il sorso è fruttato e con un tannino progressivo, sorretto da acidità e balsamicità mentolata, molto piacevole. Al riassaggio il gusto è dominato di nuovo da balsamicità, nocciole, tannini regali e una sana sapidità.
L’annata 1997, eccezionale in tutta Italia, vede il debutto di Carlo Corino in cantina, al fianco di Bernardo. Il colore è ancora più intenso e il naso è dolcissimo – segno di una perfetta maturazione delle uve – con gianduia, frutta secca, vaniglia dolce, caffè e balsamicità (corteccia di china e rabarbaro). In bocca è potente, con tannino centrale e alcol asciugante, compensato dalla sapidità propria del terroir di Bossi. Potenza più che persistenza, con note finali che virano un po’ sul vegetale, per diventare subito balsamiche. Primo punto della situazione: 1992 e 1994 più sottili, 1997 più pieno e mascolino.
L’annata 1998 è stata parimenti ottima per il Cabernet Sauvignon del vigneto Pietraviva, dispensando stavolta più complessità che potenza. Il colore è vivo e il naso è subito solcato da note balsamiche (china, rabarbaro e note mentolate), segno di un’uva matura che ha messo in un angolo la vegetalità del Cabernet. Girando il bicchiere, si sprigionano note fumé sottili e raffinate, con lievi accenni verdi. In bocca il tannino accompagna spunti fruttati molto giovanili e note pepate, con una prepotente chiusura salina. Il 1997 e il 1998 – pur essendo vini con caratteristiche diametralmente opposte – suggeriscono che il Cabernet ha una sua versione ‘affabile’ e bonaria che, su questo specialissimo terroir, lo avvicina molto al Sangiovese.
L’annata 2001, fresca e ritardata, fu ritenuta nella media, in Toscana, anche se col tempo ha dato risultati eccezionali. Da parte sua, il Cabernet ha mantenuto più del solito, in genere, le sue caratteristiche erbacee. Il colore è vivo e al naso esordisce col frutto (amarena e cassis), seguito da speziature leggere che, ruotando il calice, diventano alloro, gianduia e note balsamiche, per un’altra decisa toscanizzazione del Cabernet, nonostante l’annata fresca e rischiosa, con ingentilimento delle spigolosità, diminuzione del vegetale (trasformato in balsamico), recupero della fruttosità e della freschezza dinamica e tannini integrati. Tutto questo con l’aiuto del tempo, naturalmente. Bernardo tende a precisare che il terroir di Bossi produce vini già abbastanza potenti e questo gli consente di usare i legni in maniera corretta, affinché siano complementari e non invasivi.
L’annata 2003, caldissima ovunque (temperature continue di 40 °C, con notti altrettanto calde) e discussa, è risultata critica ovunque, ma il Cabernet ha sofferto meno – anche perché a Bossi fa fresco – e la vendemmia è stata anticipata soltanto di poco. Il colore è evoluto e al naso si evidenziano tostature di torrefazione e sigaro, che si intensificano ruotando il calice, accompagnate da frutti dolci aggressivi. Il sorso è graffiante, ma senza note polverose o tannini verdi, con finale salino a sistemare un po’ il crescendo tannico. Castellani sottolinea come queste verticali facciano spesso ricredere molte persone sui giudizi espressi in passato sugli stessi vini, sottolineando quanto sia doveroso concedere a tutti loro una seconda occasione.
L’annata 2004 è ricordata da molti per il sollievo che ha apportato dopo due annate terribili, pur se per un andamento climatico opposto. Il colore è più vivace, il naso è di ciliegia, accompagnato da tostatura e balsamicità, con una dolcezza di fondo e una nota erbacea un tantino preoccupante. La bocca è abbastanza fresca, con il tannino che parte un po’ verde e poi diventa balsamico. La chiusura è sapida, con una persistenza relativa. Un’annata attualmente inferiore alle aspettative, con profondità e poca ampiezza, forse da riassaggiare fra un po’ di tempo.
L’annata 2005, ricordata come difficile nel resto della Toscana, è stata eccezionale quasi soltanto nel Chianti Rùfina, per un grande Cabernet. Il colore è vivo, appena granato. Al naso giunge con note di amarena e crème de cassis sciroppata, mentre le note terziarie – pur presenti – rimbalzano di fronte al frutto, a riprova di una grande vendemmia. In bocca è potente ed elegante, con un tannino perfetto, impegnato soltanto ad aggiungere gusto al vino. La chiusura è salmastra, di arancio e di sapidità, ma senza muscolosità e senza che un sentore prevalga sull’altro, in un grande equilibrio di gusti.
Facciamo un salto e degustiamo l’annata 2011, la prima in cantina di Fabrizio Moltard (conosciuto da Bernardo proprio al funerale di Carlo Corino, scomparso nel 2007), che ci racconta i suoi esordi. Annata relativamente recente, di fresca memoria, calda e con grandi criticità – come la grandine di Ferragosto, improvvisa e devastante, seguita da una nuova ondata di calore, con notti a +20 °C – ma con il microclima di Rùfina a fare da baluardo con la sua frescura. Il colore è ovviamente giovane e anche al naso il vino profuma di gioventù, con note erbacee ancora presenti e frutto dormiente. Ma in bocca il vino è gustoso e presenta un tannino corretto, non imperioso e vegetale come ci si aspettava: segno evidente che i Gondi hanno imparato a lavorare bene con il Cabernet nelle annate difficili. Il finale di arancio e la mancanza di spunti calorici – caratteristiche proprie delle annate fresche – lo dimostrano.
Il finale è dedicato a un nuovo vino, il Fiammae Colli della Toscana Centrale IGT 2016, creato da Gerardo e Lapo nella Tenuta Bossi. Le loro discussioni (con Gerardo fautore di un vino ricco di sentori primari e secondari e Lapo fautore di un vino con sentori terziari potenti e persistenti) hanno portato a questo Sangiovese in purezza coltivato in unico cru, con metà delle uve appassite, vinificazione in barriques e affinamento in barriques nuove per 18 mesi (con diversa tostature per le uve appassite e non), prima di riposare altri 12 mesi in bottiglia. Il nome è scaturito da un gioco di parole tra l’emblema dei Marchesi Gondi e il nome della figlia di Gerardo, Fiammetta. Al naso è totalmente frutto, con legno presente ma ben gestito. In bocca si avverte la territorialità, con frutto e balsamicità, sintesi tra freschezza, impressione e volume di bocca, con tannino magistralmente inserito. Un vino vivo, che chiude salino e vibrante, come i Cabernet delle migliori annate. Già… prima il Cabernet faceva pensare al Sangiovese, adesso il Sangiovese strizza l’occhio al Cabernet. Miracoli dei grandi terroir.